Tale crescita non fu dovuta a un'impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media Ue e dell’eurozona. Infatti, nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, nel 1994 appena il 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (Italia esclusa) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona dal 46,7 al 47,7.
Da dove derivava la maggior crescita del debito? Dalla spesa per pagare gli interessi sul debito pubblico, molto più alta che in altri Paesi: in Italia crebbe dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, rispetto alla media Ue che passò dal 4,1% al 4,4% (quella dell’Eurozona dal 3,5% al 4,4%). Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo (il 13% in Italia, contro il 4,4% della zona euro e il 4,3 della Ue).
Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di Stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca d’Italia, ha fatto schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, esplodere il debito totale.
Per questo, l'Italia è rimasta esposta alle manovre speculative degli "investitori internazionali" (accadde già nel '92, con attacchi speculativi alla lira), e si è indebitata, verso i gruppi bancari e finanziari internazionali (altro che casta e sprechi!). La presunta "necessità di risanare il bilancio pubblico" è la leva per esigere il pagamento dei loro interessi imponendoci di ridurre i salari, aumentare le tasse, e distruggere il welfare (pensioni, spesa sanitaria, per l'istruzione, per i servizi). Quello che hanno fatto tutti i governi dal 1992 fino a oggi (con Monti e Letta), eseguendo gli ordini della grande finanza.