A Bari, all’Ateneo di Bari, a Natale si gioca a tombola con
i numeri e la fortuna, con i professori, o meglio aspiranti tali che si giocano
i loro destini. Su sollecitazione di qualcuno abbiamo assistito a queste nuove formule di non
concorso speculativo, dato che alle Università entrano un bel po’ di
quattrini, e la prima cosa che salta agli occhi è che ogni dipartimento per
ogni classe di concorso si organizza a modo suo , chi a tempo, col cucù che
manda via il candidato, il quale indugia troppo, tanto per rimettere a posto i
propri pensieri, intanto tutti vengono sottoposti al giochino della scelta delle domandine su foglietti piegati e “numerati” e d
elaborate dagli esaminatori stessi, così nessuno può dirti nulla e la fortuna
te la sei giocata da solo. Ma facciamo un passo indietro. Tempo fa furono indetti i famosi quizzoni per il TFA (Tirocinio
Formativo Attivo) naturalmente si dovevano sostenere delle tasse a favore
…guarda caso ...delle Università ospitanti, le cui casse languono e vanno rifocillate
con i soldi dei poveri aspiranti insegnati che veleggiano dai 30 ai 60anni. I
malcapitati che hanno superato tale prima prova hanno dovuto sostenere le altre prove
strutturate dai docenti universitari attorno ai quali ruotano i vincitori di
dottorati di ricerca che potrebbero essere risultati in una posizione di
vantaggio“culturale” rispetto alla pletora di precari, magari con decenni
di insegnamento sulle spalle. Alle
perplessità ironiche dei candidati che intravedevano una possibile
manipolazione del compito, magari una sbirciatina veloce al nome del candidato
contenuto nella bustina piccola, fu “promesso” che nessuno ne avrebbe guardato
il contenuto se non alla fine, e noi ci crediamo!
Così oltre i “bravi” per
definizione… qualcuno riesce a superare
anche lo scritto e accede alla prove orali, o meglio allo spettacolo della
confusione, dove ogni classe di concorso viene strutturata secondo modalità autonome. Un’unica certezza: ai candidati si richiede la conoscenza dell’intero scibile umano! Tutto di tutto senza limiti.
Fermo restando la buona fede… però
delle osservazioni vanno comunque fatte, come può un tirocinio
formativo, che non è un concorso, ma ha una valenza nazionale polverizzarsi
tra le varie università, facendo cadere il criterio dell’uguaglianza dei contenuti,
a garanzia dei diritti dei candidati? Succede, quindi, che per una stessa classe di concorso a Torino si adoperano certi
criteri e sono rispettati i programmi ministeriali, mentre a Napoli il sistema cambia
totalmente; senza dimenticare poi come certe università si sono macchiate di
fenomeni di nepotismo e solo per questo andavano sanzionate ed eliminate dal
sistema di valutazione.
A noi non resta che osservare lo spettacolo triste degli Insegnati, quelli
veri, segnati da procedure sulle attività di reclutamento che mortificano le
legittime aspettative di uno spazio
lavorativo conquistato a suon di laurea (sempre più costosa) di corsi di
aggiornamento che lavorano da anni
sbattuti nelle più profonde periferie del mondo umiliati dalle domandine
altezzose di chi sicuramente non ha mai messo un piede a scuola che non conosce il
quotidiano, impegnativo, lento, disinteressato lavoro fatto di pratiche
ed attenzioni personalizzate alla classe ed al singolo alunno. Ma loro, gli
esaminatori, sono i portatori della
meritocrazia, mirabolante “esempio etico”, responsabile della
disoccupazione galoppante, del dumping sociale e della guerra tra poveri.
Pasquina