sabato 1 ottobre 2016

Referendum - anche il "No" lavora per il "Si"

Senza entrare nel merito specifico della riforma (cosa che potrò fare avuto il tempo di leggerla bene) mi limito a osservare che l’intero ceto partitico e culturale sembra seguire implicitamente un mero gioco delle parti, collaudato apposta per suggerire all’elettore che la vittoria dei Si al referendum sarebbe un risultato “antisistema”. 

Guardiamo al posizionamento complessivo dei partiti. A fare campagna attiva per il Sì sono soltanto Renzi e l’area del PD che lo sostiene, più l'NCD (cioè niente, il nulla). Per il No si sono espresse praticamente tutte le altre forze politiche: oltre al Movimento 5 Stelle, anche Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia, l’Udc, la "minoranza" PD (i bersaniani - cioè, gli ex-piccisti), la ‘sinistra radicale’ allo stadio vendoliano cronico, una pattuglia di ex-alfaniani, e persino ex-renziani come Emiliano. Proprio la composizione di questo schieramento indurrebbe gli italiani, di fatto, a convincersi della intrinseca bontà della riforma. In altre parole, nel fronte del No si identificano sia la opposizione grillina che il tradizionale ’teatrino della politica’ destra-sinistra alternatosi per più di 20 anni al governo del paese portandoci al disastro attuale. Come illudersi che la cosa sfugga tanto facilmente alla percezione dell’elettorato? 
 Se il movimento di protesta “dal basso” (®) contro la casta partitica si trova proprio con quest’ultima dalla stessa parte della barricata, Renzi ha buon gioco a presentarsi come unico vero portatore di cambiamento e di proposte costruttive, che tenta di modernizzare e riformare, osteggiato soltanto da una classe politica arroccata trasversalmente nella difesa oltranzista dello status quo e dei propri privilegi, assistita per giunta da un’”antipolitica” che si vorrebbe diversa ma è in combutta con i vecchi partiti (e si dimostra nuovamente “capace solo di dire no”). 

Senza contare il pietoso coro circense dei soliti vecchi saggi “di Sinistra™” (Travaglio, Fo, Zagrebelsky, Rodotà, Odifreddi, e simili numi tutelari della cosiddetta società civile) a cui piace mobilitarsi solo in nome della legalità formale, della sacralità di principi belli fintantoché restano poesie da declamare nelle “lezioni sui diritti”, nei talk show Fazio-si e nei flash mob di agende rosse. Che poi anche nella vigenza di queste formule solenni in Italia il vero potere rimanga in mano alle oligarchie sotto il profilo mediatico, economico e geopolitico, non importa nulla nè a Fo, né a Travaglio, né agli altri matusa. C’abbiamo le elezioni e il parlamento, e tanto basta loro per dire che “viviamo in democrazia”. In tal senso l’amore per la Costituzione è soprattutto ostilità per la Rivoluzione. 

Si vedrà dunque quanti saranno disposti a immolarsi per difendere i check & balances, il senato elettivo e altri portentosi istituti di indiscutibile importanza per la vita quotidiana delle persone vere - gli italioti-italietta-italiani medi, brutti sporchi e cattivi, non i giovinastri arroganti ed agiati del pubblico di Santoro o dell’Ambra Jovinelli.

Intanto, a pesare sono le uscite pro-riforma dell’ambasciatore USA in Italia e del presidente emerito (emerito arnese atlantico) Napolitano. E quando l’impero americano dice la sua attraverso i suoi scagnozzi, è buon segno: di solito, si riesce a capire da che parte non bisogna stare. 

Pasquino

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